Come ho fallito una presentazione online a un team indiano


Vi è mai capitato di alzarvi all’alba per tenere una presentazione online a qualcuno che lavora dall’altra parte del globo?

A me sì. Mi sono alzata presto per essere sicura di avere il tempo di prepararmi e di fare tutte le verifiche tecniche del caso, in modo da iniziare in orario. Io non sono una fautrice del quarto d’ora accademico, per me la puntualità è sinonimo di professionalità. Ci tengo molto.

Così,10 minuti prima dell’orario fissato, mi collego e attendo. Arriva l’orario di inizio, ma dall’altra parte non c’è ancora nessuno.

Passano 10 minuti, poi altri 10, e ancora 10.

Comincio a sentirmi nervosa. Ho sicuramente sbagliato data. Consulto l’agenda, ma è tutto a posto. Rileggo freneticamente tutte le email, l’appuntamento è confermato. Faccio un refresh per vedere se nel frattempo è arrivata una mail per disdire. Nulla! Forse l’errore è nel calcolo del fuso orario. Controllo con tre servizi diversi, l’orario è giusto.

Alla fine, rassegnata, mi disconnetto.

Pochi minuti dopo mi arriva un messaggio in chat: “Noi ci siamo”. Incredula riattivo il collegamento e la mia controparte indiana è lì.

Cercando di non far trasparire il mio disappunto per un ritardo di oltre mezz’ora faccio notare che ormai ero rassegnata a cancellare la presentazione virtuale.

Mi risponde l’ingegnere indiano che ha organizzato la presentazione: “Mi spiace ma’am, non ci aveva detto che avremmo dovuto essere puntuali.”

Mi sento stupida. Per la mia presentazione avevo passato molto tempo a studiare le dinamiche delle conferenze online con i team indiani, valutandone gli aspetti interculturali conscia del fatto che da questo dipendeva la riuscita della mia presentazione.

Avevo appreso che per gli indiani “sì” non significa accordo, ma solo “ti sto ascoltando” e che evitano di esprimere il loro disaccordo dicendo “no”, ma lo esprimono omettendo di rispondere.

Avevo appreso che avrei dovuto fare delle pause durante la presentazione per lasciar loro il modo di parlare tra di loro,  che non dovevo metterli in imbarazzo invitandoli a discutere i miei contenuti, che, se noi occidentali siamo attenti alla parità di genere, con gli Indiani dobbiamo rispettare i ruoli.

Non avevo però appreso la cosa più importante: che manifestando il mio disappunto per un ritardo che loro ritengono culturalmente più che accettabile li avrei irrimediabilmente offesi.

 

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